Archeologia in Abruzzo

L'Abruzzo, quando s'apre alla Storia e cioè all'epoca delle guerre sannitiche, appare frantumato in varie tribù di diverso sviluppo territoriale e forse di diverso peso nella regione: ma tutte, se ci si fondi sui dati linguistici testimoniati da un considerevole numero di iscrizioni, da inquadrare fra le genti parlanti dialetti sabellici, gli Italici.

La tradizione, che a tutte attribuiva una comune origine, rammentava di alcune la venuta nella regione circostanziandola con particolari episodi, ma è da ritenere che, per quanto le fonti a noi pervenute non ne rechino traccia, anche per le altre conoscesse eguali modi, le « primavere sacre », che avrebbero ritualizzato le migrazioni: la presenza, degli Italici, che fu determinante per le culture locali, sarebbe accertabile dai primi decenni del V secolo a. Cr., sia stata essa occasionata da invasioni o dai pacifici spostamenti della tradizione o, più probabilmente, sia stata solo un prevalere culturale sugli indigeni, riflesso in questa terra della grande crisi mediterranea che segnò il trapasso fra i due secoli.

Chi fossero quegli indigeni, gli antichi sapevano vagamente. Nella fascia costiera fin quasi al Pescara, conoscevano, con diverso grado di attendibilità, Siculi e Liburni; nell'alta valle dell'Aterno, gli antichissimi Aborigeni; nel Molise, gli Opici. Oggi più genericamente si tende a distinguere da un pacifico etnos indigeno, caratterizzato da un'economio agricola e accertato fin dal neolitico, gruppi di pastori allogeni, frequentatori dei valichi degli appennini in causa del nomadismo stagionale: gli « appenninici ». Fin dall'età dei metalli, i pastori appenninici, di cui è accertata l'indole bellicosa, avevano esercitato pressioni sugli agricoltori: la conseguita fusione fra pastori e agricoltori, dette luogo alla modesta cultura « subappenninica » documentata soprattutto in zone interne.

Lungo la fascia costiera per le migliori condizioni di vita che l'ambiente offriva maggiore dovette essere la resistenza alle pressioni e, di conseguenza, alla fusione. Alle notevoli culture colà accertate durante la prima e la seconda età del ferro, si da generalmente il nome di « picene » facendo dei Piceni cosa diversa dai Picenti: questi identificati con gli immigrati sabellici della tradizione, quelli ritenuti gli eredi degli agricoltori neolitici. La pericolosa somiglianza dei due termini e la confusione che se ne può generare, ci ha indotto da tempo a preferire per le culture degli ultimi la dizione « medio adriatiche », senza tuttavia voler entrare nel merito delle differenziazioni etniche.

Altrove, lungo le coste del Tirreno e dello Ionio, i tempi che avevano preceduto la grande crisi erano stati di eccezionale rigoglio: basti pensare alla colonizzazione greca con le sue infinite conseguenze d'ordine economico, culturale e, in genere, di costume; basti pensare ai traffici dei Fenici che avevano colorito di fasto orientale i modi di vita degli Etruschi; basti pensare che erano stati i tempi nei quali - ne avessero fatto da tramite i Greci di Cuma e altri centri - l'alfabeto era divenuto patrimonio comune quasi all'intera Penisola.

Se ne eccettui la media Valle del Sangro di non difficile accesso dell'area tirrenica, in Abruzzo le condizioni di una costa priva di approdi e di un retroterra fatto per tanta parte di rocce a coperto per tanti mesi di nevi; l'assenza di prodotti locali che potessero lusingare i commerci; la presenza, forse, di genti che l'isolamento rendeva sospettose e inospitali, avevano certo fatto diffìcili i contatti con energie esterne di antica esperienza e di fresco dinamismo. In epoche successive, per l'esistenza ben fuori dai suoi confini dei grandi epicentri coagulatori di ogni maggiore ragione di vita, l'isolamento e gli esodi che sempre ne conseguono, determineranno l'affievolirsi di ogni intima vitalità, sicché, salvo rari periodi e fin quasi ai nostri giorni, questa sarà innegabilmente terra di fatti riflessi e di fenomeni riecheggiati.

Ma nei decenni intorno al VI secolo poiché mancano ancora determinanti forze accentratrici, l'Abruzzo trova e conserva in sé forze bastanti a partecipare del particolare felice momento che coinvolge la Penisola, se non con il fasto che già da tempo era delle città tirreniche, se non con gli intellettualismi delle colonie greche, con una sua rude originalità, maturata su antichissime tradizioni indigene. Queste s'erano venute evolvendo lungo la fascia costiera e in alcune chiuse conche dell'interno e ciascuna conservava una sua peculiare fisionomia che le veniva dalle tradizioni strettamente locali: ma tutte erano innegabilmente apparentate, vuoi da un comune sostrato etnico, vuoi, più ovviamente, dalla contiguità territoriale.

I monti e la povertà che avevano difeso l'autonomia della costa e dell'interno non avevano, tuttavia, precluso ogni contatto con altre aree culturali: la configurazione di quelle terre può permettere di ipotizzare quali fossero le vie, attraverso le quali siano giunti in esse, seppure parsimoniosamente, idee e prodotti maturati altrove. La grande fascia costiera, fatta di colline digradanti verso la marina, promette tramiti agevoli da settentrione a mezzogiorno, ma a precludere il retroterra c'è un antemurale pressoché continuo, dai monti della Laga incombenti su Teramo fino alle propaggini meridionali della Maiella; e in esso, dal Trento, fiume di confine, al Sangro, unica strada verso l'interno, per una fascia costiera di più che cento chilometri, può considerarsi quella fluviale, costituita dal corso delFAterno-Pescara.

Se per l'assenza di frequenti valli di fiumi, fu attraverso i valichi della montagna che si mantennero essenzialmente i contatti tra i vari comprensori tribali, fu lungo la costa da settentrione che giunsero qui i prodotti dell'artigianato tirrenico, di Grecia e d'Asia Minore; quelli per le facili terre marchigiane, questi sbarcati dagli empori che i Greci avevano sotto il monte Conero. Allo stato attuale delle nostre cognizioni, non sembra, viceversa, pervenisse allora nulla delle terre di Puglia che pure, per il tramite dei transumanti indigeni da ritenere diversi dai seminomadi appenninici - gli antichissimi tratturi ripercorsi semestralmente risalendo dal foggiano giungono fino agli altipiani del Parco Nazionale e alle pendici della Maiella sopra Chieti - avrebbero potuto inviare non solo elementi di cultura indigena, bensì anche le esperienze delle colonie greche della costa ionica.

Diversa dovette essere la condizione nella media valle del Sangro dove un migliore esame dell'insigne materiale proveniente dalla necropoli di Alfedena, su cui, solo in questi giorni è possibile portare l'attenzione dopo una assai lunga preclusione allo studio, forse confermerà apporti dalla costa tirrenica, per il tramite della prossima valle del Volturno. Se accertata è la presenza di manufatti qui giunti attraverso commerci con l'esterno - e facilmente ipotizzabile è l'acquisizione attraverso essi di cognizioni - le armi forgiate probabilmente col ferro cibano, gli ornamenti esotici, il vasellame nobilitato da ioniche esperienze, l'insegnamento dei vasai etruschi, non determinarono sostanziali ripensamenti nella fedeltà alla tradizione, anche se possa accettarsi che Partigianato locale abbia ricevuto da quei contatti stimoli vivificatori.

Una brillante dimostrazione di questo asserto si ha nei recenti trovamenti ceramici della necropoli di Campovalano. Gli scavi, avviati appena nel '67, hanno già posto in evidenza il ruolo che quella categoria di manufatti rivendica in una definizione delle culture artistiche medio-adriatiche. E' bensì vero che taluni « buccheri » di Campovalano, che vari indizi fanno ritenere di indubbia esecuzione locale, si dimostrano imitazioni innegabili di buccheri etruschi, ma v'è tra quella produzione ceramica una numerosa serie di vasi, rivelatori di una eccezionale estrosità, parallela, non mancipia di quella che informa certa ceramica ceretana; v'è nella estenuata eleganza di stilizzatissime figurette umane, nel surrealismo di protomi teriofrme, assoluta indipendenza da ogni elemento esterno; v'è nella stessa morfologia di uno tra i più tradizionali vasi della ceramica antica, l'oinochoe, una accusata insofferenza alle proporzioni e ai ritmi imposti dalla tradizione, che si concreta in soluzioni di ricca e turgida fantasia.

Si avverte, insomma, una padronanza di mezzi tecnici, asservita ad un gusto maturo che non può non derivare da un esercizio lungamente espresso nell'ambito di una sicura tradizione e che raggiunge il suo momento di grazia nel grande simulacro alzato tra le tombe di Capestrano, compiuta opera d'arte. A proposito di una testa proveniente da Numana nell'anconetano, unico monumento fuori d'Abruzzo che comunque si apparenti con la scultura di Capestrano, fu detto: « E' una ricostruzione tutta astratta dei dati, lavoro della mente che attinge risultati inconsueti, strani, mostruosi quando dopo essi ci rifacciamo alla nostra immagine della realtà » ( P. Marconi ). Il breve acutissimo giudizio, alla cui formulazione certo non fu estranea la accertata conoscenza del Guerriero di Capestrano, vale alla comprensione di questo momento più che un lungo discorso e avrebbe dovuto da tempo convincere della inconsistenza dei tanti tentativi di un suo inquadramento entro predeterminate culture artistiche.

Ma il Guerriero di Capestrano che al suo apparire trentacinque anni addietro aveva lasciato tanti a tanto tenaci perplessità proprio per le sue caratteristiche eccezionaiità ritenute, persino accidentali, oggi si inquadra, seppur le domini qualitativamente, in un complesso di sculture che dalle Marche discende lungo la fascia costiera e si addentra fin nella Marsica; sicché è dato già accertare in un'area abruzzese notevolmente vasta, un ben definito linguaggio figurativo, asservito, inoltre, ad una delle così dette Arti Maggiori la cui esistenza, pertanto, resta pienamente documentata anche in area picena. « Arti maggiori » e « Arti minori », con la durevolezza materiale delle loro espressioni, hanno permesso di avvertire una insospettata autonomia artistica fra le genti abitatrici del litorale abruzzese e anche di talune zone interne: ne hanno documentato la complessità culturale prodotti metallurgici che hanno indicato l'esistenza di rapporti esterni ed altri elementi (ad esempio la presenza di epigrafi).

Su tale autonomia, su tale complessità si vuole qui suscitare l'attenzione, con un insieme di monumenti che se non esaurisca la documentazione disponibile per lo studioso, certo ne propone gli esemplari più significativi. Indubbiamente le varie concordanze esistenti fra il materiale abruzzese e quello delle finitime Marche, avrebbero reso giovevole un immediato raffronto con i reperti delle molte necropoli marchigiane: tuttavia, mentre esigenze espositive hanno consigliato, almeno per questa manifestazione, la scelta fra i soli materiali abruzzesi, le peculiarità che si vengono sempre meglio accertando, di aspetti propri ad ogni singola zona indagata, possono convalidare Portodossia del criterio seguito.

La mostra intende puntualizzare alcuni aspetti di costume che sono fra gli elementi che più colpiscono ogni ceto di pubblico, per l'opportunità che danno di comprensione dell'antico ambiente. Per lo studioso vengono particolarmente ripresentati monumenti già noti, ma in veste, per così dire, aggiornata: altri sono presentati per la prima volta. Ad un medito epigrafico, sempre ghiotta preda, per il glottologo, s'è intesa dare nel catalogo una documentazione assai ampia, per l'eccezionale interesse che riveste.

Di tre necropoli essenzialmente si presentano i materiali: Campovalano, contrada Farina presso Loreto Aprutino e, infine, Alfedena. Della necropoli di Capestrano sono presenti le sculture. Oggetti sporadici, infine, vengono da varie località delle province di Chieti, dell'Aquila e di Teramo. Il materiale esposto è in gran parte del Museo Archeologico Nazionale di Chieti: del Museo A. De Nino di Alfedena sono i vasi fittili e i bronzi di quella necropoli: G. B. Leopardi ha messo a disposizione i corredi della necropoli di Contrada Farina.

Autore: Andrea Pilotti

Arte in Abruzzo

Affreschi ¤ Archeologia ¤ Arte contemporanea ¤ Arte medievale ¤ Arte preromana ¤ Arte rinascimentale ¤ Arte romana ¤ Ceramica ¤ Cesellatura ¤ Oreficeria ¤ Pittura ¤ Scultura