Ceramica in Abruzzo

In tutta la nostra regione ma specialmente nel Frentano fiorì in antico quest'arte e spesso s'incontrano anfore di creta, egregiamente lavorate, vasi, lucerne ed altri utensili domestici. Presso il fiume Aterno dalla parte d'occidente, dal luogo, ove questi oggetti si lavoravano, la figulina era detta Pinaria.

Non lungi da Ansano (Lanciano), sulle rive del Feltrino, se ne trovarono altri con l'immagine del lupo e con l'iscrizione Figulina Lupatia, e nella terra d'Orsogna, nella parte di mezzodì, altri vasi, lucerne ed anfore si rinvennero con la epigrafe di Figulina Nerviana. Anche la figulina dell'agro Atriano, che comprendeva l'attuale Comune di Castelli, era famosa fin dal tempo dei Romani. Plinio ne loda la solidità.

Dal porto di Hatria veniva, insieme alle lane tinte di porpora e ai vini squisiti, spedita nelle più lontane regioni. Alcuni scrittori credono che tale arte fosse stata insegnata dagli Etruschi che furono fra gli antichissimi abitatori delle nostre contrade. E darebbe peso a questa congettura il sapere che in alcuni scavi recenti nel territorio Atriano, furono trovati alcuni vasi etruschi e frammenti di figuline con caratteri osci, ed assi gravi che portano nel rovescio un bei vaso dalla forma svelta ed elegante a due manichi, quasi ad indizio dell'arte della ceramica fiorente nella nostra regione.

E quest'arte non venne meno nei secoli seguenti; e già fin dairVIII e IX secolo i nostri artefici lavoravano figuline con bellissimi smalti e vaghi colori con l'ossido di cobalto, ed in verde con V unione degli ossidi di cobalto e di antimonio, adoprando così, forse i primi in Europa, la vernice piombifera, come fanno fede i bei tondini che adornano la facciata della Chiesa di S. Maria a Mare del secolo XII o XIII, i due antichi campanili d'Atri, dei quali quello della Cattedrale innalzato nel 1279, altri bei tondini nella Chiesa di S. Maria in Piano presso Loreto Aprutino, di cui si ha memoria fin dal secolo XII, il pavimento dell'Abside della Chiesa di D. Regina su cui si vedono dipinti gli stemmi delle Regine di Napoli e d'altri nobili napoletani, ritratti femminili e altri ornamenti.

L'arte della ceramica migliorò e prosperò non poco dopo il mirabile trovato di Luca della Robbia di dare cioè l'invetriatura, uno smalto lucidissimo e forte, alle terre cotte e poi il colore. Luca della Robbia divenne capo di una scuola insigne, che alla correttezza del disegno, alla eleganza delle forme, alla nobiltà dei concetti congiunse l'effetto, la solidità, la durata e la lucentezza della materia, e di lui e dei suoi fratelli anche in Abruzzo si conservano mirabili lavori.

Ma anche molto tempo prima sembra fosse conosciuta in Italia l'arte di colorire le maioliche, come lo dimostrano un piatto del secolo Vili che si conserva in Cividale del Friuli e le mattonelle già ricordate della Chiesa di Giulianova, di S. Maria in Piano, di Donna Regina e del campanile di Atri. Quest'arte fu introdotta da tempi remotissimi in Castelli, paesello della provincia di Teramo, ai piedi del Gran Sasso, e vi venne coltivata con amore giacché ivi, come disse il Bonghi, le tradizioni secolari, la perennità della medesima occupazione di vita, i buoni modelli dell'arte Etrusca, la opportunità singolare delle terre, dell'acqua, dei boschi, la prossimità del mare per i traffici, contribuirono al progresso di questa industria. lavorata, 1516.

Ma oltre al pavimento di Donna Regina che appartiene al secolo XIII, eseguito da artefici Castellani, di cui s'ignora il nome, si ha notizia di un altro artefice e di altra opera la quale prova sempre più che antichissima fu l'arte della figulina in Castelli. Infatti nel 1372 Roberto della potente famiglia dei Melatino di Teramo fece edificare la sua casa avanti la piccola chiesa di S. Luca, e sul portone di essa fece collocare il proprio stemma lavorato in figulina da Bartolomeo di Maestro Giocondo, rappresentante un albero di melo con frutti, sormontato da grosso cimiero colorato, il quale cimiero in luogo di venire adorno di piume, fu fregiato da una branca di Icone al cui pollice pendeva una catena terminante in ceppi col motto in dialetto teramano.

Ma due egregi artisti che ebbero tanta parte nel rendere pregiate le maioliche castellane, quasi ignoti nella storia dell'arte, furono: maestri Renzo e Polidoro di Lanciano. Adunque anche prima che fiorisse il Pompei nel 1515, altri egregi artisti ed altre egregie opere di arte illustrano le maioliche di Castelli. Ma è certo che da quest'epoca l'arte progredì e mentre col volger degli anni il dipingere in maiolica inviliva e si perdeva nelle altre parti d'Italia, a Castelli, si perpetuava e sommamente prosperava e raggiunse il massimo grado del suo splendore nei secoli XVII e XVIII, anzi dal 1650 al 1820, per opera di egregi artisti, i quali si mostrarono eccellenti, non solo nel dipingere vagamente sopra superfici piane e curve, ma altresi nel modellare, coprendo di smalto le opere di plastica ad imitazione di Luca della Robbia, alti e bassi rilievi, teste, busti, ed anche intiere figure in proporzioni poco minori del vero; in guisachè eccellenti nell'arte del disegno, tornarono ugualmente in onore la pittura e la scultura. Uno dei più antichi lavori a stecca che si conosca delle fabbriche Castellane, è l'arma del piccolo Comune di Castagna, adorna di basso rilievi a vaghi colori.

Vi si legge l'iscrizione: Federicus Sebastiani fieri fecit 1568. E svariatissimi lavori vennero fuori da queste officine: statue di Santi e di Madonne, anfore, tondini a vari colori dipinti per servire spesso per adornamento di facciate di chiese e campanile, pavimenti di maiolica a vaghi disegni, cornici per quadri, candelabri, lucerne meravigliosamente scolpite, scatole, vasi per farmacie, piatti di ogni forma e dimensione, guantiere, tazze, sottocoppe, fruttiore, trionfi per tavola, posate con i cucchiai smaltati di bellissimo verde, ed un meraviglioso organo, unico nel suo genere con le corone e la tastiera di maiolica, opera che sventuratamente più non esiste, dovuta all'ingegno di Giulio Cristofari che fiorì nel secolo XVIII.

Ma più che nei lavori di plastica nei quali mostrarono il loro valore Saverio Grue e Candelore Cappelletti, fu nella pittura sulla superficie piana che si resero insigni gli Abruzzesi. Il più antico lavoro di tal genere pervenuto a noi è una Madonna col Bambino sulle ginocchia, opera probabilmente di Orazio Pompei vissuto verso il 1551; altre opere del 1588, 1610, 1618, nella maggior parte di argomento sacro, si vedono nella collezione Rosa, mediocri tutte sia per l'invenzione del soggetto che per l'atteggiamento delle figure e pel modo di disporre poco convenientemente la luce e le ombre.

L'arte solo per opera dei Grue, dei Gentile, dei Fuina, dei Cappelletti, doveva sollevarsi a grande perfezione e rendere poi le maioliche di Castelli celebri non solo in Italia, ma anche in Francia, Inghilterra e Germania. Essi infatti trattarono, con eguai sapienza e maestria, i costumi e le scene familiari, lasciandoci fedele memoria delle fogge di vestire dei loro tempi, i paesaggi e le scene campestri dipingendo con vivaci e giusti colori le querce, le montagne, i ruscelli, le aurore, i tramonti, ed animando la scena con pastori che pascolano armenti, bambocciate e caricature eseguite con gusto e vivacità, composizioni storiche e mitologiche, allegorie e favole, prati, fiori e animali. Questi lavori si posson distinguere a prima vista da quelli di altre fabbriche d'Italia, perché il disegno vi è buono, il colorito morbido ma d'ordinario languido, le carnagioni colorite di una tinta olivastra, distintivo caraneristico di questa fatta di stoviglie; nelle vesti poi predomina il turchino chiaro ed il giallo violaceo; il paese vi è condotto con finezza e la prospettiva aerea meglio che nelle opere d'altre parti osservata.

Il più antico dei due Grue artefici che si conosca fu Francesco (1594), il quale prese a dar novella vita all'arie della ceramica, e sebbene i suoi dipinti non siano adorni di tutti i pregi d'invenzione, di disegno e di colorito che rendono belle le opere dei suoi successori, nondimeno vanno tenuti in qualche pregio perché mostrano l'arte già avviata per corretto e miglior sentiero.

Il figlio di lui Carlantonio si mostrò uno degli artefici più valenti della famiglia ed a lui si deve la restaurazione di quell'ano già precipitata in basso anche là ove la medesima era salita alla maggior cima della perfezione; alcuni suoi lavori che fan bella mostra nel Museo Nazionale di S. Martino in Napoli e specialmente alcuni piatti, lo dimostrano artista eccellente per morbidezza di pennello, soavità di colorito, venustà di forme, eleganza di tipi e grazia inarrivabile.

Ma la gloria d'aver portata Parte della ceramica ad un'altezza fino allora mai raggiunta spetta al figlio di Carlantonio, Francescantonio Grue, il quale trattò una immensa varietà di soggetti. Aiutato dalla vasta e svariata cultura di cui era fornito nelle sacre e profane discipline e da un ingegno poderoso, pronto e vivace, si mostrò valente non solo nel dipingere paesi e bambocciate, ma anche soggetti tolti dalla storia sacra, dalla profana e dalla stessa mitologia.

In quanto alla plastica insegnò e perfezionò il modo di adoperare con felice risultato il porpora, il carminio lillà, il verde rame, perché potessero resistere al gran fuoco. In generale nelle sue pitture si ammira grande correzione di disegno, vivezza e varietà nelle pieghe degli abiti, fermezza di contorno, naturalezza nelle movenze delle figure, sommo accordo ed intonazione di colorito, parco uso di colori troppo vivi e principalmente del giallo; diede alla figura grande incremento e istituì nella sua casa una specie di Accademia artistica cui molti accorsero e si formarono allievi i quali condussero, imitando lo stile ed il fare del Grue, un gran numero di dipinti, che anche dagli esperti sono sovente confusi coi lavori del maestro.

Egli fondò pure una fabbrica di maioliche in Bussi, e nella chiesa di S. Angelo presso Lucoli è un suo bei lavoro rappresentante le gesta di S. Francesco Saverio. Il Francescantonio Grue poi fu dei capi principali e promotore della rivolta dei Castellani al triste governo dei Mendoza, i quali ottenuta vittoria fecero condurre il capo in dura prigionia nelle carceri di Napoli nel 1716; ed in Napoli anche dopo liberato esegui molti dipinti e diede incremento alla scuola Napoletana. Fra gli altri Grue ricorderemo il figlio di lui Francesco Saverio il quale seguendo le orme paterne salì a grande rinomanza; nato a quanto sembra in Atri nel 1731, morì nel 1799. Egli fu valentissimo specialmente negli ornati e giovandosi delle scoperte che si facevano a Pompei e dei dipinti ne adorno le sue composizioni.

L'esempio dato dai Grue trovò nobilissimi imitatori in altri artefici i quali ne emularono la gloria e resero immortale il loro nome nella storia artistica della regione Abruzzese. Ci limiteremo a menzionare Carmino Gentile e Gesualdo Fuina. Il primo nato nel 1679 trattò la pittura storica e mitologica, sacri e profani argomenti ed ebbe stile differente dai Grue. Ingiustamente accusato di poca dolcezza di pennello, come può giudicarsi dai molti lavori che si conservano nel Museo Nazionale di S. Martino a Napoli. è notevole per freschezza di colorito, disinvoltura di pennello, tocco ardito e brillante, sapienza nell'aggruppare le figure, armonia nell'insieme, sebbene il dipinto venga eseguito con sole cinque tinte. Morì nel 1763 lasciando due figli che eseguirono l'arte del padre senza raggiungerne l'altezza. Il secondo, il Fuina, nato nel 1755 e morto nel 1822 dipinse con molta lode, tanto a gran fuoco che a fuoco di muffola o riverbero, e fu valente anche nel rappresentare l'architettura dei templi e dei grandi edifizi, usando dello smalto con molta perfezione.

I lavori dell'antichissima fabbrica di Castelli ottennero nei secoli passati rinomanza in tutta Italia e salirono a grande fama anche fuori: ma la decadenza cominciò con gli ultimi dei Grue ai quali mancavano l'ingegno originale e còlto di Carlantonio, Francescantonio e Francesco Saverio, che si erano serviti, come modello, delle stampe dei Carracci, ciò che mostra il perfetto loro gusto in un secolo in cui le arti nostre tenevan dietro all'esagerato e al falso per opera dei Berrettini, degli Zuccari e di altri. Oggi sventuratamente l'arte di dipingere su maiolica si può dire pressoché spenta in Castelli.

Qualche lavoro si è fatto e si fa ancora, ma non sono che generosi sforzi isolati, che non bastano a ravvivare un'arte già gloriosa e darle quell'incremento che la mutata condizione dei tempi ed il progresso della chimica richiederebbe.

Autore: Andrea Pilotti

Arte in Abruzzo

Affreschi ¤ Archeologia ¤ Arte contemporanea ¤ Arte medievale ¤ Arte preromana ¤ Arte rinascimentale ¤ Arte romana ¤ Ceramica ¤ Cesellatura ¤ Oreficeria ¤ Pittura ¤ Scultura