Porto di Giulianova

Porto di Giulianova

Già nel 1833 il Consiglio provinciale diTeramo aveva avanzato suppliche a Ferdinando II per la realizzazione a Giulianova di un "caricatoio", richiesta giustificata dal notevole volume d'affari connesso all'attività di esportazione via mare. Proprio in quell'anno, infatti, nonostante le difficoltà connesse alla mancanza di una struttura portuale, i bastimenti in partenza dal lido giuliese avevano imbarcato, per le esportazioni, derrate agricole e prodotti industriali per un valore complessivo di ducati 85319.

Sempre da Giulianova e parimenti nell'anno 1833 i bastimenti locali e quelli della non distante Silvi avevano imbarcato 3380 ceste cariche di maioliche di Castelli, per un valore di 8650 ducati, destinate ai mercati di Senigallia, Ancona, Venezia e Trieste, mentre merci per altri 20mila tomoli con destinazione Messina, Castellammare di Stabia, Livorno, Genova, Ancona, Venezia, Ferrara e Trieste, erano state imbarcate su bastimenti questa volta napoletani e pontifici.

Non trascurabile, inoltre, era l'attività cantieristica, con un numero di imbarcazioni che passa dalle 12 nel 1833 alle 36 nel 1845.

Il "caricatoio" rimarrà tuttavia un desiderio, a nulla rilevando la battaglia avviata a partire dal 1851 e proseguita fino al 1858-59 dal Decurionato di Giulianova, fermo nel richiedere quella necessaria struttura - il cui progetto si domandava fosse redatto a spese «della Finanza» mentre l'Intendente si sarebbe occupato del finanziamento ottenuto con «offerte volontarie e formazione delle azioni» - che sarebbe dovuta sorgere nel punto medio tra i torrenti Salinello e Tordino, esattamente nello sbocco sul lido della traversa della Consolare, luogo questo ritenuto particolarmente adatto anzitutto per la sufficiente distanza rispetto a corsi d'acqua che, essendo di regime alluvionale, periodicamente depositavano detriti in prossimità delle "sboccature", poi per la presenza di una "forza" di guardie dell'amministrazione dei Dazi indiretti (in grado di prevenire e reprimere il contrabbando) oltre che per la presenza della Dogana di prima Classe nonché della Deputazione Sanitaria con annessa "officina" medica; finalmente per l'esistenza di fabbricati e di diversi "magazzeni" che non poco avrebbero giovato alle operazioni commerciali.

Ma il netto rifiuto opposto dal consiglio d'ingegneri di Acque e Strade, che a causa dei bassi fondali (solo a 500 palmi dal lido, secondo gli scandagli effettuati, si trovava altezza d'acqua capace «di far passare bastimenti di piccola grandezza») aveva dichiarato e quindi ribadito la impossibilità di costruire a Giulianova un «caricatoio durevole», farà scendere la parola ultima e definitiva sulla questione. In un suo articolo pubblicato sulla prestigiosa "Rivista abruzzese" nel 1902, il conte Andrea Acquaviva d'Aragona - il quale ai suoi molteplici interessi non poteva non aggiungere quello per il mare, possedendo egli il Gioia, un "legno" di 71 tonnellate utilizzato per le numerose crociere sull'Adriatico - affermava che le imbarcazioni pescherecce utilizzate da abruzzesi e marchigiani, le cui differenze risiedevano non tanto nelle linee di costruzione quanto nelle dimensioni e nella forma della velatura, erano essenzialmente quattro: la paranza, il bargozzo, lo schilo e la lancetta, quest'ultima caratterizzata dalla struttura piuttosto ridotta e slanciata - di norma costruita artigianalmente ricorrendo al legno di quercia o anche di larice - particolarmente utilizzata dai giuliesi.

Quanto alle abitudini e ai costumi dei pescatori, il giovane conte sottolineava la discrasia tra i comportamenti tenuti in mare e quelli a terra: «II pescatore abruzzese e marchigiano - scrive infatti FAcquaviva - è assai sobrio, quando è in navigazione; poiché il suo cibo si compone di pane o biscotto, e pesce, talvolta anche disseccato al sole; e beve acqua mista ad aceto che chiama col nome generico di Bevanda.

Ma, per quanto serio e sobrio in mare, è altrettanto ingordo e dedito al vino quando trovasi a terra, e nei giorni di festa, la sera, s'incontrano spesso a braccietto tre o quattro per volta di cedesti tipi originali, ubriachi fradici, che cantano a squarciagola canzoni più o meno incomprensibili, ed il cui ritmo rammenta il canto degli Zulùs!». Nel 1830 a Giulianova operavano 83 pescatori; nemmeno un secolo dopo, nel 1913, marinai e pescatori erano oramai 380, dediti esclusivamente alla pesca con reti a strascico utilizzando 84 imbarcazioni complessive, paranzelle o bilancelle ed imbarcazioni minori.