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Storia di Giulianova
Con l'Ottocento postunitario Giulianova aveva conosciuto una attività culturale
straordinariamente vivace, un forte incremento dell'attività commerciale e, relativamente
all'abitato, effetti modificativi di non poco momento. L'estremo limite del secolo, infatti, caratterizzato da una veemente espansione demografìco-edilizia, aveva regalato alla
città, attraverso un'incerta mediazione tra antico e nuovo ma con quel magnifico Belvedere che appalesa una scaltrita attenzione riservata allo spazio panoramico, uno dei
nodi fondamentali dell'impianto urbano, la Piazza Vittorio Emanuele.
Proprio sull'ampia
e ineguale distesa della piazza era stato innalzato il grandioso monumento bronzeo del re, proiettato in gesto di saluto verso il prospiciente litorale, percorso sin dal 1827 dal
tracciato della Consolare e soprattutto, a partire dal 1863, dalla nuova ferrovia. Più della
carrozzabile, era stata proprio la ferrovia a contribuire potentemente a modificare il tessuto insediativo preesistente, senza arrivare però a produrre il ribaltamento delle gravitazioni e dell'intero assetto territoriale.
L'espansione che interessa la fascia costiera secondo uno schema a scacchiera, sottende una gerarchla di fruibilità e si lega strettamente con le leggi di crescita degli insediamenti litoranei.
Pur in presenza di un fenomeno di "germinazione", dovuto soprattutto alle infrastrutture di collegamento sull'Adriatico e, in subordine, a moderate spinte turistiche, tuttavia la Borgata "Marina" agli inizi del Novecento è ancora incapace di sottrarsi al rapporto strutturale con il centro originario.
Giulianova, d'altronde, nell'ambito propriamente urbano conta, secondo i risultati del censimento del 10 febbraio 1901,
4493 abitanti (circa i due terzi dell'intera popolazione comunale) e dalla collina si volge
al controllo ed allo sfruttamento del pingue retroterra agricolo sostanzialmente ignorando il mare. Una riprova della capacità di Giulianova di mantenere un colloquio adeguato, esauriente con la sua campagna è data, trascurando taluni significativi esempi
tardo ottocenteschi di protoattività industriale, dal pullulare, proprio nel primissimo
Novecento, di imprese di piccolo respiro, la cui produzione sembra soddisfare esigenze
connesse all'attività agricola o, al più, maturate entro gli angusti limiti cittadini.
La stessa
creazione della stazione di Colleranesco assume un significato ed un risvolto essenzialmente proprietari, posta come al centro di un'area soggetta agli interessi del grande notabilato terriero. Più che sul litorale, dunque, Giulianova gravita verso l'interno: è col
suo hinterland che la città, conservando un ruolo egemone, mostra affinità ed un solido legame ambientale, come testimoniano le occasioni floristiche e devozionali opportunamente intrecciate.
Fino alla Prima guerra mondiale gli interventi posti in essere dal dinamico sindaco Giuseppe de Bartolomei, il quale pure largheggia in iniziative e lascia spazio ad un incipiente privatismo consapevole delle notevoli potenzialità
economiche possedute da quella tumultuante realtà valligiana della "Marina" - segnalate peraltro da un dato solo apparentemente insignificante come quello dell'utenza telefonica, che nell'aprile del 1915 registrava nove abbonati, due in più rispetto alla città
alta -, gli interventi del sindaco de5 Bartolomei, si diceva, sostanzialmente aderiscono
alla duplice consapevolezza di una stretta relazione tra centro e campagna, e di una assorbente funzione gerarchica svolta dalla città nei confronti del territorio, anche di quello
litoraneo.
Negli anni del periodo post-bellico, rimarginate faticosamente le ferite inferte alla
popolazione - 93 infatti sono i caduti giuliesi nella Grande guerra - e sanati parzialmente i tanti guasti nell'economia collettiva e individuale, si assiste, insieme con un
più amplificato dualismo tra i due centri peraltro già presagito in una corrispondenza
giornalistica del 1907, ad una prima, parziale erosione della funzione egemonica della
città alta.
Anche se questa conserva la gran parte delle funzioni tradizionali connesse
al ruolo di capoluogo (burocratico-amministrative, sanitarie, scolastiche, creditizie, ecclesiastiche), c'è da dire che l'azione convergente di strada-ferrovia-infrastrutture portuali cagiona un fenomeno non irrilevante di attrazione e gravitazione in senso lato industriale da parte della zona litoranea, che giunge così a dotarsi di una propria struttura urbanisticamente riconoscibile.
La decisione presa dal professor Giulio Scano, eletto
direttore generale delle corporazioni sindacali in occasione del congresso fascista tenuto
il 22 agosto 1922 a Pescara, di ubicare qualche mese dopo la Marcia su Roma proprio
nella "Marina" di Giulianova l'ufficio di Segreteria della Federazione interprovinciale abruzzese-molisana delle Corporazioni Sindacali, non può ne deve venire sopravvalutata, però
è chiaro come quella scelta contenga in re ipsa sufficienti elementi indiziar! relativamente all'attenuata importanza strategica del capoluogo rispetto alla "Marina".
D'altronde, che la borgata possieda uno straordinario potenziale espansivo lo dichiara
apertis verbis il commissario prefettizio Alfredo Angeloni nel sesquipedale preambolo
della delibera 4 luglio 1923, con la quale determina di fare eseguire un piano regolatore di ampliamento per la frazione.
Vero è che il piano regolatore in oggetto si rende necessario perché quello precedentemente compilato riguardava una zona circoscritta e oltretutto risulta irreperibile,
versando l'archivio comunale in uno stato di «grave disordine»; vero è, ancora, che ormai
non più eludibili sono le richieste dei "naturali" della Spiaggia, i quali «reclamano un
assetto definitivo della loro borgata», tanto più che «vanno sorgendo fabbricati e villini senza alcuna guida e senza norme generali, si da creare fra non molto [...] uno stato
di cose che, dovendo essere regolarizzato, esporrà in seguito il Comune a maggiori spese
di espropriazioni, abbattimenti di case, costruzioni di vie, fognature ecc. ecc.»; vero è,finalmente, che questo stato di anomìa ha fatto moltipllcare i "pozzoni" nei quali «marcendo le acque si costituiscono fomiti di miasmi e di malaria», ed ha agevolato, in quella
fascia di piano compresa così tra la battigia e la ferrovia come tra questa e le prossime
pendici collinari, che ancor oggi non casualmente conosciamo come zona Orti, la realizzazione, «tra le vecchie e le nuove costruzioni, di stalle, depositi di immondizie e di
letame, pozzi neri, senza sicura viabilità e fognatura, si che - vaticina il commissario,
rievocando risalenti prospettazioni - tutto l'ambiente, specie con l'andar del tempo, risulterà insalubre e pericoloso».
Premesso tutto ciò, rimane tuttavia il dato fondamentale che la scelta di mettere
mano al nuovo piano regolatore sembra far perno sul «promettente sviluppo» della borgata, il cui «prepotente bisogno di espansione» fa ragionevolmente ritenere al commissario
Angeloni che sussistano «giusti e fondati motivi» per una esistenza arrisa dal successo.
D'altronde il censimento del 1921 - il primo rilevamento successivo a quella gravissima emorragia demografica malthusiana prodotta direttamente o indirettamente dalla
Grande guerra, per ricorrere alle efficacissime espressioni del compianto Giuseppe Bolino - segnala sotto il profilo demografico come la "Marina55 sia ormai prossima a emanciparsi dall'umiliante e sempre meno tollerata condizione di subalternità rispetto al capoluogo: il numero dei residenti nella frazione costituisce ora la metà della popolazione
della città collinare.
La verticalizzazione demografica e l'espansione insediativa registrate
a valle non impediscono tuttavia alla Cupola di S. Flaviano di continuare ad ombreggiare le sedi politiche e decisionali, le case dei "maggiori", gli uffici ed un ricco ordito
di locali pubblici.
I caffè, le gioiellerie, le pelletterie, le botteghe dei parrucchieri, le farmacie, ed
anche i locali dei fotografi risultano messi, come ricorda Vincenzo Bindi in una sua
monografia del 1927 dedicata alla città (tra gli ultimi lavori dell'insigne studioso, prima
della morte) con gusto ed eleganza, «e dove in ogni ora, sempre ben serviti, si trova
quello che si desidera».
I dieci-quindici anni successivi saranno fondamentali nella ridefìnizione degli assetti territoriali e delle gerarchle urbane. Da questo punto di vista
la costruzione del Lungomare monumentale non deve venir relazionata solo alla percezione della valenza, in termini economici, del turismo balneare, un fenomeno di tale
incidenza da giustificare il termine di "industria55 con il quale viene definito, quanto
alla conoscenza, da parte degli organi decisionali dell'epoca, dei processi tendenziali che
avevano portato nel corso degli anni alla frantumazione, o "bipolarità", dell'aggregato
insediativo.
Si è consapevoli, insomma, della perdita di centralità del capoluogo a favore della
"Marina", ed è quindi alla "Marina" - che, è chiaro, può riguardarsi ormai come l'epicentro dinamico trainante di gran parte delle attività economiche presenti nel territorio,
quindi vocata a prevedibili «magnifiche sorti e progressive» - che si decide di rivolgere
le dovute attenzioni, tanto che il piano regolatore del 1935 (affidato sin dal 29 ottobre
1933 dall'avveduto podestà Alfonso De Santis agli ingegneri Giuseppe lannetti ed Ernesto Pelagalli ma rimasto del tutto inattuato) codifica per la zona pianeggiante la nascita di una nuova città, dell'estensione tre volte superiore a quella esistente, con una rete stradale capillare, parchi pubblici ed edifici monumentali.
È importante notare che
la planimetria prevede il mantenimento, relativamente all'abitato interno, del Municipio, mentre le sedi più rappresentative del Regime vengono significativamente collocate nella zona litoranea, in una piazza "foro" della nuova città, quasi ad esprimere la
volontà di conservare nel capoluogo il simbolo di funzioni tanto prestigiose quanto ormai
inincidenti nella vita cittadina, e di far scivolare a valle le sedi dell'amministrazione fattuale del potere.
Non casualmente gli stessi Carabinieri Reali abbandoneranno la città collinare
dopo un settantennio circa per stabilirsi a valle, nella nuova caserma realizzata nel 1939
dagli industriali De Santis in prossimità dei loro impianti e quindi della stazione ferroviaria, sull'ormai traffìcatissimo Viale Vittorio Emanuele III dove, non senza significato, qualche anno prima erano stati aperti la Sezione di Imposta di Consumo e 1'
Ufficio del Turismo. Pure di questi anni è la configurazione pressoché definitiva del
porto, con i due moli Nord e Sud lunghi circa 350 metri il primo, quasi 500 il secondo.
La tradizionale attività peschereccia non può non ricevere un sicuro effetto tonificante
dalla realizzazione di opportune calate e banchine, sicché ^\\e paranzelle o bilancelle ed
alle note lancette si aggiungono progressivamente imbarcazioni dotate di motori ausiliari. L'approdo giuliese, dunque, pur difettando ancora di talune infrastrutture, si connota proprio nell'estremo limite degli anni Trenta come uno dei più importanti dell'Adriatico abruzzese.
La costruzione di un imponente edificio destinato a sede del Mercato del Pesce
all'ingrosso e l'appalto, deliberato il 7 ottobre 1939, relativo alla costruzione di un edificio da adibire a Casa del Pescatore con annessa Scuola di addestramento marinaro,
mirante al «potenziamento dell'industria della pesca posta dal Regime al primo piano
della politica autarchica», sottolineano un significativo mutamento di rotta rispetto anche
solo ad un cinquantennio addietro. La modernità sembra ormai entrata di prepotenza,
con le tante realizzazioni e con sicuri progetti urbani che tuttavia la guerra frustrerà del
tutto.
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